Il 14 settembre 2000, il Cardinale Ratzinger, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, sottoponeva all’approvazione del Santo Padre un documento intitolato: “Disposizioni sulle preghiere per ottenere da Dio la guarigione”
Le Disposizioni hanno come scopo aiutare i Vescovi “a meglio guidare i fedeli in questo campo, incoraggiando quello che vi è di buono e correggendo quello che sarebbe da evitare”. Si tratta essenzialmente di misure disciplinari, presentate sotto forma di dieci articoli; questi sono preceduti da una Nota dottrinale che intende delineare la riflessione e garantire la fondatezza delle misure proposte.
L’introduzione dottrinale comincia con il ricordare il senso e il valore della sofferenza nell’economia della salvezza: Antico e Nuovo Testamento. Essa constata che non soltanto Gesù ha risposto al desiderio di guarigione e ha operato un gran numero di miracoli ma che ha trasmesso ai suoi Apostoli così come ai settantadue discepoli inviati in missione, “il potere di guarire ogni malattia e ogni infermità” (Mt 10, 1). Questo ministero si è prolungato nella chiesa tra gli altri, anche con i “carismi di guarigione” (1 Co 12, 9.28.30), che “da questo punto di vista rivestono una importanza particolare”, come “doni di guarigione, accordati nell’unico Spirito che una persona riceve per altri”. La preoccupazione di pregare per la guarigione dei malati è attestata in tutta la storia della Chiesa, come testimoniano i Padri e le Tradizioni liturgiche delle differenti Chiese cristiane.
Il documento prosegue verso un’analisi della situazione attuale.
La prima misura disciplinare afferma il diritto di “ogni fedele di elevare a Dio delle preghiere per ottenere la guarigione”; l’articolo precisa che queste devono essere “guidate da un ministro ordinato” quando si svolgono in una Chiesa o altro luogo sacro. Questo articolo è, tuttavia, solo un’introduzione per arrivare al vivo dell’argomento. Se noi interpretiamo in modo corretto l’intenzione della Congregazione per la dottrina della fede, la sua preoccupazione è prima di tutto:
- chiarire le differenti forme che può prendere la preghiera di guarigione
- per codificarne lo svolgimento.
Innanzitutto, distinguiamo le preghiere di guarigione liturgiche e non-liturgiche.
Gli articoli 2-3-4 trattano delle preghiere di guarigione liturgiche: esse devono essere
- autorizzate esplicitamente dal Vescovo del luogo e
- celebrate secondo il rito prescritto e con gli abiti liturgici indicati nel Rituale romano.
La questione è un po’ più complessa per quanto concerne le preghiere di guarigione non liturgiche.
Il documento distingue tra:
- quelle “che non hanno alcun legame con un carisma di guarigione”; e
- quelle “che possono far pensare ad un carisma di guarigione vero o apparente”.
Tra le prime sono citate le celebrazioni che si svolgono nei santuari, “che non implicano un carisma di guarigione, perché non c’è un soggetto portatore di questo carisma”. Esse sono certamente legittime, “purché non se ne travisi il senso autentico”.
Per ciò che concerne le preghiere di guarigione “che possono far pensare a un carisma di guarigione vero o apparente” , bisogna riconoscere che il documento è molto più delicata da interpretare. La Nota dottrinale definisce come segue questo “preteso carisma”: “Perché si possa parlare di un eventuale carisma bisogna che si imponga come determinante per l’efficacia della preghiera, l’intervento di una o più persone o di una categoria precisa di persone, per esempio i responsabili del gruppo che animano la riunione.” Questi criteri non potrebbero in alcun modo definire un carisma autentico, né in senso biblico – così come lo riporta la lettera ai Corinzi – né in senso teologico. Si tratta piuttosto, della definizione di una devianza in rapporto alle’esercizio normale dei carismi. È quindi imperativo sottolineare bene l’aggettivo “preteso”, che qualifica il termine “carisma” fin dall’introduzione della nota dottrinale, che precisa subito l’oggetto del documento. Non è dunque l’esercizio legittimo di un autentico carisma di guarigione che è messo in causa, ma la messa in scena di una sua caricatura, nella quale una categoria predefinita di persone si instaura a priori come detentrice di un preteso carisma di guarigione che si trova per questo fatto stesso, denaturato in “potere”.
Quest’interpretazione è confermata per due volte nel documento stesso.
- La nota dottrinale precisa in modo esplicito: “Non si può attribuire il ‘carisma di guarigione’ a una determinata classe di fedeli”, denunciando in tal modo la devianza di cui abbiamo parlato e sulla quale era centrata la definizione citata del “preteso carisma di guarigione”.
- E le misure disciplinari sottolineano la necessità, durante lo svolgimento delle preghiere non-liturgiche di guarigione di evitare “che si arrivi, soprattutto da parte di coloro che le dirigono, a delle forme simili all’isteria, all’artificialità, alla teatralità o al sensazionalismo” (Art. 5, §3). Al contrario, “coloro che conducono le celebrazioni di guarigione, liturgiche o non-liturgiche, devono sforzarsi di mantenere nell’assemblea un’atmosfera di devozione serena e devono conservare la prudenza necessaria se delle guarigioni sopraggiungono tra coloro che vi assistono; essi potranno raccogliere con cura e semplicità, alla fine della celebrazione, le eventuali testimonianze e sottomettere il fatto all’autorità ecclesiastica competente” (Art.9). L’Articolo 10 precisa che “il vescovo diocesano deve necessariamente intervenire con la sua autorità quando vi sono degli abusi nelle celebrazioni di guarigione liturgiche e non-liturgiche, in caso di scandalo evidente per la comunità di fedeli o quando vi sono delle gravi mancanze alle norme liturgiche e disciplinari.”
Lo scopo del documento appare fin da subito in modo chiaro nei due obiettivi seguenti:
1. Ricordare che lo Spirito dimora libero dai suoi doni.
Un carisma è una chiamata a mettersi al servizio della comunità che lo Spirito indirizza a uno o più membri dell’assemblea in modo puntuale o ripetuto, sollecitando la loro collaborazione “affinché l’assemblea sia edificata” (1 Co 14, 5), e affidando loro, a questo scopo, i doni necessari per esercitare questo ministero: “A ciascuno è data la manifestazione dello Spirito in vista del bene di tutti” (1 Co 12, 7).
Determinare in anticipi la natura dei carismi è i loro destinatari significherebbe usurpare il posto dello Spirito. Ecco perché il documento ricorda che bisogna “abbandonarsi alla volontà sovrana dello Spirito Santo che dona a certuni un carisma speciale di guarigione per manifestare la forza della grazia del Resuscitato”.
2. Vigilare che nell’assemblea non vi siano manipolazioni con atteggiamenti teatrali o isterici da parte di coloro che dirigono la preghiera, comportamento che indurrebbe un’atmosfera artificiale sovreccitata che nulla ha a che vedere con il raccoglimento indispensabile affinché si possa manifestare un’autentica azione dello Spirito: “Che tutto si faccia in modo conveniente e con ordine” consigliava già san Paolo (1 Co 14, 40), “perché Dio non è un Dio di disordine, ma un Dio di pace” (1 Co 14, 33).
Per quanto concerne le altre misure disciplinari, il documento precisa nell’Articolo 5 che “le preghiere di guarigione non-liturgiche devono essere fatte secondo modalità differenti dalle celebrazioni liturgiche, ad esempio incontri di preghiera o di lettura della Parola di Dio” (§1), evitando ogni confusione con le celebrazioni liturgiche propriamente dette (§2). Ecco perché l’Articolo 7 (§1) precisa che “ad eccezione delle cerimonie per i malati previste nei libri liturgici” ad esempio l’Unzione sacramentale dei malati per la quale il Rituale prevede una celebrazione nel corso della liturgia eucaristica, “le preghiere di guarigione liturgiche e non-liturgiche non devono essere incluse nella celebrazione della Santissima Eucaristia, dei Sacramenti né della Liturgia delle Ore e nemmeno farne parte” , pur mantenendo (art. 7 §2) la possibilità di “inserire delle intenzioni di preghiera particolari per la guarigione dei malati nella preghiera universale o ‘dei fedeli’”. Infine l’Articolo 8 insiste sulla distinzione da mantenere tra preghiere di esorcismi – che derivano da un ministero particolare che non può essere esercitato se non in dipendenza stretta dal Vescovo diocesano (§1) – e celebrazioni di guarigione, liturgiche o non-liturgiche (§2): “È assolutamente proibito inserire le preghiere di esorcismo nella celebrazione della Santa Messa, dei Sacramenti e della Liturgia delle Ore” (§3).
Terminiamo con un’ultima citazione della Nota dottrinale che pur sottolineando la legittimità della domanda di guarigione indirizzata a Dio, ricorda con il papa Giovanni Paolo II, che “nella Croce del Cristo non solamente la Redenzione si è compiuta nella sofferenza, ma che la sofferenza umana stessa è stata riscattata. Operando la Redenzione attraverso la sofferenza, il Cristo ha elevato nello stesso tempo la sofferenza umana fino a darle valore di Redenzione. Ogni uomo può, quindi, nella sua sofferenza partecipare alla sofferenza redentrice del Cristo” (Giovanni Paolo II, Lettera apostolica Salvifici doloris, n. 19, AAS, 76 (1984), p. 225).
“Perciò sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa.” (Col 1, 24)
“Qui si tratta della gioia pasquale, frutto dello Spirito Santo. Possano molti malati diventare portatori della ‘gioia dello Spirito Santo in mezzo alle loro prove’ (1 Tim 1, 6) ed essere testimoni della Resurrezione di Gesù” (Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica Christifideles laici, n. 53, AAS, 81(1989), p. 499)