Famille de Saint Joseph

Ritrovare la nostra identità profonda

par | 7 janvier 2013

La psicologia clinica ci insegna che le nevrosi si radicano nei traumi subiti dal bambino a nelle relazioni famigliari – madre, padre, fratelli – nei primi mesi e nei primi anni della sua vita. Questi traumi che toccano le relazioni fondanti della sua personalità, lasceranno tracce durevoli nella sua struttura psichica che noi chiamiamo “ferite”.

La ripetizione delle esperienza negative condurrà il bambino a consolidare questa struttura psichica ferita, con la quale affronterà d’ora in avanti il mondo; capiamoci: l’insieme delle persone e degli oggetti che per lui sono significativi nel suo universo quotidiano. La sua interpretazione delle situazioni e degli avvenimenti sarà da allora influenzata da una percezione che porta le stigmate del suo passato. Allo stesso modo, le sue reazioni dipenderanno da queste esperienze negative che fanno parte della sua storia personale.

L’approccio psicoterapeutico tenta di risalire alla sorgente dei traumi per cercare – per quanto possibile – di dipanare la matassa complessa delle relazioni mancate, allo scopo di correggere la struttura psichica che il bambino si è costruita e di permettere all’adulto di affrontare la sua vita relazionale in modo più armonioso.

Dal punto di vista antropologico, il percorso psicoterapeutico non è quindi finalizzato: esso mira semplicemente a distendere le tensioni interne, per poter affrontare la vita relazionale nelle migliori condizioni possibili.

Per Freud, ad esempio, “è considerato corretto ogni comportamento dell’Io che soddisfa sia le esigenze dell’Es, che del Super-Io che della realtà, cosa che accade quando l’Io riesce a conciliare queste differenti esigenze”. In perfetta coerenza con la concezione filosofico-materialista latente, la psicanalisi non cerca nulla di più di un equilibrio delle energie interne senza considerazione per la qualità morale o spirituale dei “comportamenti dell’Io” che ne derivano.

Jésus Seigneur

Il nostro approccio è ben altro poiché esso si radica nella Rivelazione cristiana e ha come scopo il mettere la persona in cammino verso la verità della sua condizione umana secondo le Scritture, cioè come noi la possiamo contemplare in Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo. Si tratta quindi di un cammino credente, esplicitamente finalizzato sulla persona del Cristo che ci rivela la nostra identità di figli e di figlie di Dio:
“E da questo sappiamo che lo [Gesù Cristo] abbiamo conosciuto: se osserviamo i suoi comandamenti [l’amore di Dio e del prossimo]. […] ma chi osserva la sua parola, l’amor di Dio è in lui veramente compiuto. Da questo conosciamo che siamo in lui: chi dice di dimorare in lui, deve, nel modo ch’egli camminò, camminare anch’esso.” (1 Gv 2, 3-6).
Il cammino che noi proponiamo non ha altra ambizione se non aiutare la persona a convertirsi, cioè a riorientare la sua vita alla luce delle Scritture, verso la sua finalità in Dio, seguendo il Cristo, “via, verità e vita” (Gv 14, 6).
Questa conversione non è opera nostra, ma quella che lo Spirito vuole operare in noi con il nostro consenso. In effetti, se “Dio è amore (agape)” (1Gv 4, 9) e se noi siamo creati “a sua immagine” (Gen 1, 26-27), allora noi ci avviciniamo alla verità della nostra condizione umana nella misura in cui ci lasciamo condurre dallo Spirito di carità fino alla piena somiglianza con il Cristo.
Questo cammino è, in realtà, già cominciato: è iniziato il giorno del nostro battesimo, quando siamo “nati da acqua e da Spirito” (Gv 3, 5). In effetti, “a quanti però lo [il Cristo Gesù] hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio:a quelli che credono nel suo nome, i quali non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati” ( Gv 1 12-13).
Ahimè noi non viviamo veramente della grazia battesimale: noi “ spolveriamo” la nostra vecchia vita con un po’ di vangelo mentre, al contrario, lo Spirito dovrebbe essere in noi il Principio di una vita e di un agire nuovi. Se la grazia della nuova nascita rimane inoperante, è perché noi non viviamo come dei “figli della luce” (Ef 5, 8): noi non viviamo nello Spirito ma nella carne (cfr. Ga 5, 17), cioè ne “l’uomo vecchio” (Rm 6,6). Ora “quello che è nato dalla carne, è carne; e quello che è nato dallo Spirito, è spirito” (Gv 3, 6). È accogliendo sempre più lo Spirito Santo che ci introduce nella relazione d’amore del Padre e del Figlio, che cresce in noi “ l’uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella santità vera” (Ef 4, 24).
Il nostro cammino non si presenta quindi come un lavoro sulle ferite dell’uomo vecchio, ma è orientato sulla presa di coscienza del dono di Dio. Si tratta di rinascere, di nascere alla vita nuova dello Spirito e di impegnarci in modo risoluto in un processo di crescita dell’uomo nuovo: “Se viviamo dello Spirito, camminiamo anche guidati dallo Spirito” (Ga 5, 25).
La guarigione alla quale miriamo è quella che noi abbiamo già ricevuto “in germe” al battesimo e ora si tratta di appropriarcene in pienezza. Nella misura stessa in cui noi ci apriamo alla grazia per vivere nella novità dello Spirito, la nostra vita relazionale si ritroverà profondamente trasformata – più esattamente: rinnovata, perché procede “dall’alto” e non più a partire dalle strutture fisiche manchevoli.
Noi potremo allora vivere la nostra vita relazionale nella luce e nella forza dello Spirito di carità, quello Spirito che procede dalla vittoria di Gesù Cristo sull’odio che, nella sua persona, ha inchiodato una volta per tutte sulla croce (cfr. Ef 2. 16) affinché noi “avessimo accesso al Padre” (Ef. 2, 18), e che noi potessimo amare il nostro prossimo come lui ci ha amati (cfr. Gv 15, 12).
Certo, la grazia presuppone la natura, ma essa si espande per realizzarla: “noi infatti per virtù dello Spirito, attendiamo dalla fede la giustificazione che speriamo” (Ga 5, 5), e non dai nostri sforzi di introspezione psicologica. Si tratta di lasciare che Dio ci rinnovi nella nostra capacità relazionale con e nella fede, nella speranza e nella carità, virtù teologali infuse che procedono da Lui e ci rendono partecipi della sua natura divina (cfr. 2 P 1, 4) e della sua stessa vita relazionale trinitaria.
Da ciò, la “guarigione spirituale” dipende più da un atto di ricreazione che non dal ripristino di una vecchia realtà: “Ecco che io faccio nuove tutte le cose” (Ap 21, 5). E “colui che sedeva sul Trono” aggiunse: “Io sono l’Alfa e l’Omega, il Principio e la Fine.
A colui che ha sete darò gratuitamente
acqua della fonte della vita. Chi sarà vittorioso erediterà questi beni; io sarò il suo Dio ed egli sarà mio figlio.” (Ap 21, 6-7).

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